In queste settimane di quarantena leggere è diventato un esercizio davvero complicato ma c’è un libro – l’unico – che è riuscito completamente a catturare la mia attenzione, a tenermi incollata alle sue pagine: “La perfezione del tiro” di Mathias Énard (Edizioni e/o, 2019, pp. 183).
Breve, spietato, violento ma anche infinitamente umano, “La perfezione del tiro” è un viaggio nella mente di un giovanissimo cecchino senza nome che combatte sul fronte di una guerra ormai eterna, immobile nella sua atrocità. In questo imprecisato luogo del Medio Oriente la vita del nostro protagonista ruota tutta attorno al momento in cui, attraverso il suo mirino, si erge a giudice e boia dall’alto dei tetti dove si apposta contro il nemico.
Il libro è quindi un viaggio nella psiche di questo giovane combattente, una psiche forgiata da una guerra senza nome, senza luogo e senza tempo ma che sconvolge tutto travestendosi da quotidianità. Solo con il suo fucile come unica ancora di salvezza, senza padre e con un fratello emigrato chissà dove, il cecchino vede sua madre perdere il senno ogni giorno di più finché è costretto a prendere in casa una giovanissima ragazza che se ne prenda cura: è così che entra in scena Myrna, il cui padre è rimasto ucciso da una granata, che accetta il lavoro per mettere da parte quei soldi per i suoi libri, per il dopo, per quando la guerra sarà finita e potrà finalmente tornare a scuola.
Myrna è quindi il punto di svolta di questo breve romanzo, o meglio, è un passo verso di essa, un passo che, però, rimane sospeso: rappresenta l’innocenza che non si è del tutto avvinta alle logiche della guerra, uno sguardo – fugace, timido, inconsapevole – verso il futuro ma anche il risveglio della carne, dei sensi che non sono più solo il mezzo di precisione con cui piegare il nemico ma anche vita, semplicemente questo. Vita. Quindi qualcosa in lui si ridesta, quasi lo travolge ma la guerra non fa sconti, lo richiama all’ordine con le sue insensatezze, le sue brutture, le sue granate che non smettono mai di cadere e a forza di stare dietro un mirino e sparare, prima o poi, qualcosa si spezza. E così rimane.
Myrna, il desiderio di lei e di questo scorcio di normalità dura circa poco più di metà romanzo: stabilire se si tratti o meno di amore è un esercizio molto complicato, forse un invaghimento, sicuramente un’attrazione ma qualsiasi cosa sia non basta, non nello scenario costruito da Énard. Perché il protagonista percepisce dentro di sé l’ombra, la violenza, la rabbia che esplode e sa che Myrna ne è spaventata a morte, lo sente e sa che per lui non c’è redenzione possibile: non potrà mai tornare ad essere il ragazzo di prima perché quella parte di sé è morta per sempre con la guerra, con la prima vita presa.
E così entriamo nel vivo dell’azione, scendiamo dai tetti e passiamo ai combattimenti corpo a corpo, villaggio per villaggio: ci addentriamo quindi nel pieno di quello che può definirsi come romanzo militare, con descrizioni precise, dettagliate che danno quasi la nausea al lettore che si sente trascinato al centro esatto della guerra. E lì la brutalità raggiunge vette altissime e il senso di vertigine coglie anche il nostro protagonista che, in qualche modo, realizza l’insensatezza di quel che sta facendo, dei massacri, degli stupri, di come gli resti soltanto un passo prima di realizzare appieno il suo essere soltanto una bestia fra le bestie.
“La perfezione del tiro” è un libro che non può lasciare certamente indifferenti: stare nella testa di questo giovane cecchino e percepire tutto quel che percepisce lui attraverso la logica completamente distorta della guerra è pian piano sempre più disturbante, dei panni molto scomodi da indossare. E man mano che la lettura avanza una crescente sensazione di disagio si fa strada nel lettore perché la prima persona, in qualche modo, ti rende partecipe di quegli orrori ma soprattutto diventa impossibile non provare empatia per il protagonista. Tifiamo per lui, siamo lui in questo infinito flusso di coscienza che Énard costruisce in maniera impeccabile, perfetta. E quindi la guerra diventa quotidianità, mai male assoluto: non c’è giudizio di merito, c’è la più totale accettazione del fatto che questa è la realtà, che non ne esiste altra e che va bene così perché ormai sono tutti assuefatti alle bombe, alle granate, alla morte. Un romanzo assolutamente imprescindibile.