Lost: l’eredità della serie più importante di sempre

È il 22 settembre 2004 quando Lost va in onda per la prima volta sui nostri schermi e certamente non si esagera affermando che nel mondo della serialità c’è un prima e un dopo Lost, un vero e proprio cultural reset che cambiò per sempre il modo di intendere, pensare e realizzare un prodotto televisivo.

E così, per sei stagioni, seguiamo le vicende dei sopravvissuti allo schianto del volo Oceanic-815 Sydney-Los Angeles su una misteriosa isola del Pacifico non segnalata sulle mappe, un luogo all’apparenza deserto. Niente di più sbagliato: la stessa Isola è un’entità misteriosa, un luogo impossibile da raggiungere tanto quanto da lasciarsi dietro. E così scopriamo che ha poteri di guarigione sui suoi abitanti, il tempo lì sembra scorrere in maniera diversa e ognuno dei personaggi che va in scena sente che l’Isola è l’occasione per riflettere su di sé, sul senso della propria esistenza.

Una narrazione complessa e contorta, un universo da esplorare che si costruisce attorno una vera e propria mitologia. Si passa dalla survivor story alla fantascienza, al realismo magico, dal drama alla soap con l’obiettivo di solleticare costantemente la curiosità del pubblico, la sua sete di conoscenza: Lost è una vera e propria esperienza di gioco sorretta da personaggi realistici, in cui è facile immedesimarsi mentre si scava nel loro vissuto grazie anche all’ampio uso di flashback. È lì che sta tutta la carica emotiva della serie, la sua forza.

Ma prima di parlare del perché Lost sia così fondamentale occorre dare un po’ di contesto perché non si può capire la sua importanza se prima non si ripercorrono alcuni passaggi storici della serialità televisiva americana. Come si arriva a concepire una serie del genere? E qual è l’humus che ne consente la nascita?

1. Mercato tv americano e serialità: qualche cenno storico

Negli anni 80 i principali network americani (ABC, CBS e NBC) vedono i loro ascolti calare drasticamente e il motivo di questa crisi è molto semplice: il pubblico sta cambiando, è più esigente, ha bisogno di nuovi stimoli e quindi i prodotti di massa non riescono più a fare breccia perché sono pensati per un pubblico omogeneo che non esiste più. La spinta definitiva arriva dall’esterno, dalla casa di produzione MTM che concretamente rivoluziona il panorama seriale innanzitutto accaparrandosi le eccellenze nel campo della scrittura (e lasciando loro massima libertà creativa) ma anche creando uno stile sempre definito, riconoscibile e autoreferenziale che nel racconto riesca ad anticipare temi che emergono dalla società.

È da questa esperienza che nasce il concetto di Quality Tv di Robert Thompson, uno dei più grandi studiosi di mass media e tv, che tuttora è lo standard produttivo per eccellenza: tutte le serie da lì in poi hanno nella scrittura il loro punto forte e una struttura multiplot – composta quindi da più linee narrative – che convergono nel creare una trama orizzontale che abbraccia tutti gli episodi. E poi si tratta di prodotti che hanno memoria di sé, che fanno della ripetizione una caratteristica.

Le idee ci sono, le produzioni cambiano ma il pubblico non è ancora in grado di comprendere appieno la rivoluzione in atto e i ratings non premiano i primi coraggiosi tentativi fino al momento in cui Twin Peaks apparirà sugli schermi nel 1990. La prima stagione è un successo al di là di ogni aspettativa sia per in termini di ascolti che per l’eco che riesce a raggiungere, per il dibattito che riesce a creare. Tutto ciò, però, dura pochissimo perché già con la seconda stagione si assiste ad un vero e proprio tonfo che porterà poi alla cancellazione. Lo spettatore di allora, infatti, è sì alla ricerca di nuovi stimoli, di un cambiamento ma non è ancora così maturo da coglierlo: non è allenato a interfacciarsi con una complessità narrativa e stilistica che aumenta a dismisura e con queste serie che giocano direttamente con lui, lasciandogli indizi qua e là.

Bisognerà aspettare ancora i primi anni 2000 per vedere le cose finalmente cambiare: è HBO ad alzare sempre più in alto l’asticella della Quality Tv ma è una sfida che verrà colta anche dai principali network e interpretata al meglio dall’ABC. In quegli anni nessuno si dimostra più al passo con i tempi e dopo una lunga crisi rinasce grazie a prodotti come Desperate Housewives e Grey’s Anatomy ma è con Lost che finalmente la rivoluzione ha inizio.

2. Lost come driver del cambiamento

Non si fa alcun torto al genio di David Lynch dicendo che Twin Peaks è l’antenato di Lost: non nella trama ma nella complessità, nel cercare di stimolare lo spettatore con qualcosa di mai visto prima. Entrambe le serie hanno fatto della sperimentazione nei linguaggi televisivi la loro firma principale ma Lost ha avuto il pregio di riuscire lì dove Twin Peaks aveva fallito: è infatti la prima serie tv scritta secondo le nuove regole che non solo riesce a ottenere un successo clamoroso ma che è anche in grado di mantenerlo fino all’ultimo episodio, attirando costantemente l’attenzione del pubblico di massa.

Lost è rivoluzionario perché si tratta della serie che prima di tutte porta il pubblico alla sua maturazione: più la complessità aumenta e più il fandom si ritrova davanti a un puzzle intricato ma che adesso sa di poter ricomporre pezzo per pezzo. È questa consapevolezza che cambia le carte in tavola, il rito di passaggio verso l’età adulta che si compie nel momento in cui Lost invita il pubblico a giocare con essa chiedendo in cambio il massimo dell’attenzione. È un prodotto che come Twin Peaks offre allo spettatore più tipologie di visione, da quella più legata alla soap a quella “gaming” in cui l’interesse principale è dato dall’esplorazione degli indizi che il mondo narrativo propone.

Ciò che rende Lost così importante è che questo secondo aspetto non si arresta mai: ogni nuovo cliffhanger, ogni nuova scelta narrative spinge lo spettatore a indagare ancora e ancora mentre in Twin Peaks l’attenzione del pubblico di massa era più concentrata sul risolvere l’assassinio di Laura Palmer e meno sul magnifico universo narrativo ideato da Lynch. E così quindi l’autoreferenzialità diventa cifra stilistica e la trama orizzontale trionfa su quella verticale.

Ma c’è anche un altro aspetto per cui Lost scava un solco che lo distingue da tutte le serie precedenti e che apre la strada a un modo di concepire i prodotti che oggi è più attuale che mai: la sua transmedialità.

3. Il transmedia storytelling alla prova della serialità

Innanzitutto una definizione che ci fornisce uno dei più grandi studiosi in materia di transmedialità ma anche di fandom, l’accademico americano Henry Jenkins:

«si tratta di un processo dove elementi integrati di una narrazione vengono dispersi sistematicamente attraverso molteplici canali con lo scopo di creare un’esperienza di intrattenimento coordinata e unificata».

Tirando le somme: non parliamo di disseminare contenuti su varie piattaforme ma di un progetto creativo che dà il là a nuovi filoni narrativi, a universi immaginativi più complessi dell’originale, scavando in profondità in essi e nelle tematiche proposte puntando quindi sempre a valorizzare il singolo mezzo attraverso cui si decide di agire.

Ciò che cambia con Lost è che si tratta del primo prodotto televisivo compiutamente transmediale: non una strada da battere a seguito del successo della serie ma un vero e proprio progetto che espande l’universo narrativo originale in più narrazioni e in più dimensioni. Anche in questo campo ha il primato di essere il prodotto transmediale attraverso cui questo approccio diventa mainstream.

C’è uno scambio continuo tra i suoi produttori e il pubblico che gioca con quel che viene proposto uno volta alla settimana e per il resto dei giorni espande l’universo narrativo grazie a prodotti come i mobisode, giochi per console, pc e telefoni, una collana di fumetti, un libro e una serie di alternative reality game come The Lost Experience costruendo così pezzo per pezzo un’esperienza che prima di allora semplicemente non esisteva. La serie diventa quindi una sorta di scheletro narrativo – sia a livello di trama che di personaggi – che va oltre la singola visione, sollecitando quindi una caratteristica fondamentale del fandom odierno ossia quello di essere egli stesso produttore di contenuti.

Lost è l’anno zero della serialità per come la conosciamo e come la viviamo oggigiorno e pur con i suoi difetti è stato il prodotto giusto al momento giusto, rendendo il suo modo di fare tv uno standard che ha influenzato tutti gli altri e le loro modalità di interazione col pubblico. Non è una serie perfetta ma senza quella esperienza non ci sarebbe gran parte di quel che oggi consideriamo la normalità. E scusate se è poco.

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